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La fusione fredda

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Fusione fredda, finalmente è stata dimostrata
Fonte: galileonet.it data 02 aprile 2009
Pamela Mosier-Boss, chimica del U.S. Navy' s Space and Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego, California, ha annunciato, anche a nome di altri ricercatori, di avere ottenuto per la prima volta la prova che la fusione fredda esiste e che si tratta di un processo nucleare, come proverebbero le abbondanti tracce di neutroni registrate nel corso di vari esperimenti. Questa volta, spiega la ricercatrice, la cella elettrolitica contiene deuterio mescolato a cloruro di palladio e gli elettrodi sono fatti con fili di nikel o di oro.
Pamela Mosier-Boss, con uno studio presentato al meeting annuale dell'American Chemical Society, sostiene di poter vedere i neutroni, i piccoli proiettili nucleari che scaturirebbero, abbondanti, dal processo, prova che si tratta di una reazione di fusione nucleare a bassa energia.
La sperimentazione è stata condotta immergendo in una soluzione di cloruro di palladio e acqua pesante (acqua con atomi di deuterio al posto dell'idrogeno), un elettrodo di oro o nichel, attraversato da corrente per innescare la reazione, con un processo detto di co-deposizione. Per rilevare le tracce delle particelle emesse durante le reazioni è stata usata una plastica chiamata Cr-39. Su questo materiale, al termine dell'esperimento sono stati osservati gruppi di minuscoli segni che sarebbero stati prodotti, secondo gli autori, dai neutroni originati dalla fusione di nuclei di deuterio. Un piccolo indizio che segnala la possibilità di innescare in laboratorio le cosiddette reazioni nucleari a bassa energia, che sono alla base dei processi di fusione atomica a basse temperature.
Oltre ai neutroni - spiega la Mosier-Boss - , il fenomeno è accompagnato dall’eccesso di calore, dall’emissione di raggi X e dalla formazione di trizio. Tutti indizi a sostegno dell’avvenuta fusione del deuterio». Dal convegno di Salt Lake City, oltre alla speranza di un rilancio del fenomeno su più solide basi, è venuto però un avvertimento che suona come di rottura rispetto all’avventuroso passato di questa vicenda: non si parli più di fusione fredda, ora il termine giusto è l’impronunciabile LENR, acronimo di Low Energy Nuclear Reactions (reazioni nucleari a bassa energia).

Ma per capire meglio la cronaca di oggi, è forse utile ricordare come andarono le cose vent'anni fa.
Il 23 marzo del 1989 due chimici dell'università dell'Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons, attirarono l'attenzione di tutto il mondo comunicando d'aver realizzato la fusione fredda, fenomeno che promette energia pulita e a basso costo, anche attraverso impianti di piccole dimensioni.
In una cella elettrolitica riempita di acqua pesante (con deuterio al posto dell'idrogeno) i due scienziati immersero una barretta di palladio e videro scaturire un eccesso di energia: solo la fusione dei nuclei di deuterio penetrati nel reticolo cristallino del palladio, potrebbe spiegare il fenomeno e così si parlò di «fusione fredda», per distinguerla da quella ad altissime temperature che viene sperimentata nelle grandi ciambelle magnetiche in alcuni laboratori mondiali della big science . Nelle loro numerose presentazioni in giro per il mondo i due chimici americani non fornirono tutti gli elementi necessari per ripetere l'esperimento e minimizzarono le difficoltà di riproducibilità del fenomeno. Inoltre, Fleishmann e Pons scavalcarono un loro collega, Steven Jones, che aveva lavorato alla stessa ricerca e con cui avevano concordato una contemporaneità di pubblicazioni. Il mondo scientifico ne risultò frastornato e i media non seppero più quali notizie divulgare, a causa del comportamento alquanto irritante dei due scienziati, anche se la possibilità di avere a portata di mano la soluzione dei problemi energetici suggerì grande attenzione.
Mentre centinaia di ricercatori si affannarono a ripetere gli esperimenti con risultati contraddittori, alcuni scienziati del prestigioso Caltech, l'Istituto di tecnologia della California, organizzarono una severa istruttoria scientifica e in appena un mese la sentenza fu emessa: il fenomeno non esiste, non è spiegabile, forse è pura illusione. Per altri si trattò addirittura di frode scientifica....
Nel frattempo altri gruppi di ricerca di provata professionalità, in diverse parti del mondo, fra i quali un gruppo di fisici e chimici dell'Enea guidati dal professor Franco Scaramuzzi, riuscirono a riprodurre il fenomeno. Il mondo della ricerca si divise così fra scettici e possibilisti e negli anni successivi, pur essendo accertato che in certe circostanze si arriva alla liberazione di inspiegabili quantità di energia dalla cella elettrolitica, non si arrivò comunque a chiarire se si tratta di reazioni chimiche o nucleari.
In seguito, nel 2003, furono gettate le basi affinché la fusione fredda potesse divenire un obiettivo accettato dalla comunità scientifica internazionale, ma "siamo a livello di ricerca di base e i risultati sono ancora molto lontani", osserva Vittorio Violante, del Centro ricerche dell'Enea a Frascati (Roma). Oggi la ricerca sulla fusione fredda è finanziata pubblicamente dagli Stati Uniti, dove se ne occupa il Centro ricerche dell'università californiana di Stanford, e poi da Francia, Giappone, Russia e Cina. L'Italia, soprattutto con Enea e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), ha conquistato una discreta credibilità a livello internazionale: esperti italiani e americani stanno lavorando insieme, secondo Violante "con buoni risultati e una discreta certezza sulla produzione anomala di calore". La loro attenzione è concentrata sui materiali: la struttura a livello microscopico del metallo utilizzato nella reazione, il palladio, sembra decisiva per garantire la riproducibilità dell'effetto. Di quello stesso del quale ora garantiscono l'esistenza gli scienziati californiani.
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Fusione fredda
di Roy Virgilio - http://www.progettomeg.it
Progetto Motionenless Electromagnetic Generator
come funziona?
Il metodo Fleischmann -Pons ...si prendono due elettrodi; una barra di platino e un filamento di palladio, si mettono in una soluzione elettrolitica contenente acqua pesante (D2O acqua dove l'idrogeno è sostituito dal deuterio, isotopo dell'idrogeno), il tutto in un contenitore di vetro ben isolato dall'esterno.
Si apporta elettricità al sistema e l'effetto sarà che il deuterio si accumulerà in grande quantità nel palladio, che per la sua struttura funziona come una spugna molto porosa. All'interno del palladio gli atomi di deuterio si accumulano in spazi sempre più ristretti, così gli atomi saranno costretti ad essere sempre più vicini, sempre più vicini, fino al punto di fondersi, dando origine ad atomi di elio, ed emanazione di calore.
Il processo della fusione nucleare e dell'emissione di calore inizia soltanto dopo un certo tempo (circa un'ora) e solo quando il numero di atomi di deuterio superano quelli del palladio. Il rendimento che si ottiene è di circa il 1000 %.
In questo modo si ricava calore da fusione nucleare a temperatura ambiente con strumenti e conoscenze utilizzabili quasi da chiunque poiché il materiale che si usa è quello di un semplice laboratorio chimico. Inoltre il costo è veramente irrisorio poiché si parla di cifre intorno ai 300 euro per ottenere circa 10 Kw/h per ben 500 anni! E il tutto senza produrre nessun residuo nucleare, radiazioni nocive o qualsivoglia inquinamento.
Il metodo Mizuno-Ohomori si basa invece su una configurazione più semplice ed economica: elettrodi di acciaio e tungsteno che lavorano in una soluzione alcalina a base di acqua distillata. Fornendo energia al sistema, raggiunte determinate soglie di tensione e corrente, si viene a creare attorno al catodo uno stato di plasma, confinato dalla stessa acqua, da cui è stato verificato scaturire energia in eccesso e trasmutazioni nucleari. Il rendimento energetico è stimato attorno al 200% quindi ben lontano dalla configurazione con acqua pesante, ma le trasmutazioni, che avvengono con energie bassissime rispetto a quanto richiesto dal paradigma dominante, spalancano un ventaglio immenso di nuove opportunità.

Su www.progettomeg.it/FFredda.htm potete seguire l’implementazione italiana dell’esperimento portata avanti dai ricercatori Iorio-Cirillo.
Il perché di questa energia osservata ha portato allo sviluppo di un'intera nuova branca della fisica quantistica. La teoria sviluppata si chiama Elettrodinamica Quantistica Coerente (QED coerente), ed è stata sviluppata qui in Italia dal Professor Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice dell'INFN di Milano.
Questa nuova teoria, che va ad unire la fisica quantistica con la chimica, sta aprendo delle strade inaspettate e sta spiegando molti fenomeni che fino ad adesso erano rimasti dei misteri per la scienza. Quindi abbiamo una scoperta assolutamente scientifica, riproducibile e che funziona: ma allora perché non se ne parla? a mio parere, l'adozione di sistemi energetici basati sulla Fusione Fredda non potranno portare al monopolio ma al contrario alla libera e abbondante fruizione dell'energia. Per un semplice motivo: la fusione fredda è energia ad alta densità che si può ottenere in modo semplice. Questo vuol dire che si può avere tutta l'energia che ci serve ovunque ci serve senza alcun bisogno di doverla TRASPORTARE. Si può creare in situ. Non ha bisogno di centralizzazione. Non esisterà mai una centrale a fusione fredda. Ho bisogno di acqua calda? Non necessito neppure di uno scaldabagno poiché con una "pila" a fusione fredda della grandezza di un'unghia posta su ogni rubinetto di casa mia (tanto costa poco!), potrò avere acqua calda quando e quanta ne voglio! Non esiste il bisogno di trasportare energia (pensate all'eliminazione di TUTTI i tralicci della corrente!), di immagazzinarla, di costruire centrali costose. NON potrà esistere un fornitore di energia elettrica perché sarete voi stessi a fornirvi di energia dove e quando e quanta ne vorrete! Energia portatile, pulita e abbondante…

Bibliografia:
- "Fusione Fredda: moderna storia di inquisizione ed alchimia" , di Roberto Germano, edito da Bibliopolis
- "Dai quark ai cristalli", di Giuliano Preparata, edito da Bollati Boringhieri - www.infn.it
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La fusione fredda, di Francesco CELANI, 2011

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) - Laboratori Nazionali di Frascati
Presidente ISCMNS (International Society of Condensed Matter Nuclear Science)

“LENR” è acronimo di “Low Energy Nuclear Reactions” nome dato alla “fusione fredda”, particolarmente in USA.
Da circa 10 anni gli studi sulla Fusione Fredda sono identificati anche con l’acronimo CMNS (Condensed Matter Nuclear Science), particolarmente in ambito Europeo e Giappone-Cina-ex-Russia.
E' stata fondata una Società Scientifica, a livello Internazionale (ISCMNS, International Society of Condensed Matter Nuclear Science).

La “fusione calda” è quella che avviene nelle stelle ad altissime temperature e pressioni. Nel caso del sole inizia con il ciclo p-p.
La “fusione fredda” avviene a basse temperature (40°-900°C) ed a basse pressioni (1-60 atm.).

La fusione fredda non può avvenire in un mezzo qualsiasi ma solo nella “materia condensata”.
Condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’innesco della reazione è che il “combustibile” (ad es. H o D) raggiunga una certa soglia di concentrazione nel reticolo cristallino di un metallo (ad es. Pd o Ni): tale operazione è detta “caricamento”.
Nelle reazioni di fusione fredda in REGIME CONTROLLATO vi è produzione di energia e/o particelle nucleari.
Le reazioni nucleari a bassa energia realizzate, invece, in REGIME INCONTROLLATO possono essere usate per realizzare armi autonome o come innesco per micro-mini bombe atomiche (1/10.000 - 1/100 Hiroshima).


Fusione fredda: i due principali filoni di ricerca

1) Reazioni “PALLADIO-DEUTERIO” (Pd-D2)
Esperimento originale di Fleischmann e Pons (1989, USA)
Tipo di cella:
Elettrolitica (pertanto “umida”) con Fleischmann-Pons, ma in seguito anche “secca”: Arata, Celani, Claytor, Takahashi, ...


2) Reazioni “NICHEL-IDROGENO” (Ni-H)
Ricerche di Piantelli-Focardi-Habel a Siena e successive
Tipo di cella
Secca (una camera chiusa)

Per realizzare reazioni in regime controllato in genere occorre:
- Un combustibile: ad es. Deuterio (D2; D2O, acqua pesante) oppure Idrogeno (H2) ma monoatomico (H, D)=>facile.
- Un metallo: ad es. Palladio (Pd) oppure Nichel (Ni)
- Una cella: ad es. “umida”

(elettrolitica) od “a secco”
- Le giuste condizioni: di temperatura, pressione, etc.

La nascita della fusione fredda
La linea di ricerca della FUSIONE FREDDA inizia il 23 Marzo 1989 a seguito dell’annuncio congiunto di due illustri elettrochimici dell’Università di Salt Lake City (M. Fleischmann e S. Pons) e di un fìsico nucleare (S. Jones) dell’Università di Provo, entrambi nello Utah-USA.
Martin Fleischmann è stato addirittura Presidente della Società Internazionale degli Elettrochimici ed è membro (da circa il 1980) della Royal Society (Inghilterra).
Steven Jones era un notissimo fìsico nucleare nell’ambito della Fusione indotta da muoni (cosidetti “elettroni pesanti”), editore della rivista “Muon Catalysed Fusion” e co-autore di un articolo (ad altissimo “impact factor”) pubblicato su Scientific American nel 1986 sulla fusione muonica (ri-usò il termine “Fusione Fredda” di Luis Alvarez). La fusione muonica fu prevista da A. Sacharov (“padre” della bomba H in Russia) nel 1950 e scoperta sperimentalmente nel 1956 dal (futuro, 1968) Premio Nobel Luis W. Alvarez nella reazione protone-deutone.
In realtà, anche se poco noto, i primi studi sulla fusione fredda risalgono al 1958: Yoshiaki Arata, Università di Osaka-Giappone, Solid State Nuclear Fusion.
Yoshiaki Arata è stato il pioniere della fusione calda con il metodo del pinching dal 1958 (primo esperimento al mondo, Università di Osaka) con il Deuterio (D2) in fase gassosa. Dopo il 1958, stanco di affrontare i problemi d'instabilità del plasma, tipici di tale metodologia, pensò di “confinare” il D2 dentro il reticolo cristallino del Palladio (Pd) e sottoporre il tutto a situazioni di non­equilibrio con le elevatissime correnti pulsate già usate per la fusione calda.
Diede a tale linea di ricerca, perseguita a livello pressoché amatoriale presso l’Università di Osaka, il nome di “Solid State Nuclear Fusion”.

L’E-Cat di Rossi-Focardi, è una apparato (E_Cat) che sfrutta la reazione Nichel-Idrogeno (Ni-H).
“Sviluppo” esperimenti Piantelli-Focardi-Habel (1992, rod di Ni) ma con nano-micro particelle di Ni+XYZ (segreto)

Gli esperimenti “nel mezzo”: oltre 20 anni
a) G. Fralick (NASA, 1989) - Cella “a secco” non di tipo elettrolitico alla F&P: flusso di D2 gas pressurizzato ad alta temperatura (330oC) attraverso tubo Pd, eccesso termico in ingresso ed uscita unicamente con Deuterio; con H2 eccesso termico solo in ingresso (come atteso).
b) Y. Iwamura (Mitsubishi, 2000): produzione di nuovi elementi, cioè “trasmutazione”, tramite multistrati nanometrici di Pd/CaO depositati su substrato massivo (spessore lamina 0.1mm) di Pd e D2 gas flussato tramite gradiente di pressione (2-3 Atm), temperatura di 80oC; depositi di Sr->Mo, Cs->Pr, Ba->Sm. La quantità di materiale trasmutato è dell’ordine di ng/cm2/giorno.
c) G. Preparata e coll. ENEA, 2002: dimostrazione sperimentale del “confinamento” del D provocato da una elevata differenza di potenziale ai capi di fili lunghi e sottili di Pd, regime elettrolitico, evidenza di calore anomalo ed 4He (cfr. De Ninno).
d) Y. Arata (Univ. Osaka, 2005): utilizzo di 15nm, di Pd disperse in una matrice di Zirconia; evidenza di calore anomalo ed 4He ad alta concentrazione. Misura online della produzione di calore e successiva produzione di valori macroscopici di 4He. Dimostrazione pubblica dell’esperimento ad Università di Osaka (Maggio 2008).
e) A. Takahashi, A. Kitamura (Toyota e Univ. Kobe, 2009). Esperimenti di replica di quello di Arata, ma effettuati con un apparato completamente diverso e materiale preparato da una Industria (Soc. Santoku, Kobe). E stato finalmente superato il problema della cosiddetta irriproducibilità trasferita negli esperimenti di CMNS.
f) F. Celani e coll. (INFN, 2008): sviluppo di tecnica ibrida per ottenere calore anomalo ad alta temperatura (500oC). Pd in forma di fili lunghi e sottili (tipo Preparata) con depositi a multistrato (tipo Iwamura) di nanomateriale (tipo Arata), il tutto in atmosfera gassosa di D2 ed elevata temperatura prodotta da Joule heating (fenomeni di “iperdiffusione” del D2 all’interno del Pd provocati sia da diffusione termica, tipo Arrhenius, che elettromigrazione con J=45 kA/cm2). Densità di potenza massima ottenuta: 400W/g di Pd e D2 a 500oC; 1800W/g di Ni e H2 a 900oC, ma di ardua replica. La tecnica del deposito di nanoparticelle su fili sottili rappresenta lo sviluppo/variante di una procedura che è stata da noi sviluppata, dal 1998, in elettrolisi.



Uso del Nichel-Idrogeno

a) I primi esperimenti dell’utilizzo del Ni puro” (cilindri di varie dimensioni) e superfìcie “trattata (NdA nanostruttura topologica?), in un sistema gassoso riempito di H2 a pressioni sub-atmosferiche e temperature di circa 350°C è quello realizzato dal gruppo: Piantelli-Focardi-Habel nel 1992 presso l’Università di Siena. Difficoltà di replica dell’esperimento hanno limitato lo sviluppo ulteriore di tale (interessante) procedura. Si ha notizia (ufficiosa) che, recentemente, Piantelli sia riuscito a superare la maggior parte degli ostacoli.
b) La tecnica del Ni-H, ma con nano-particelle di Ni ricoperte da uno specifico additivo, è stata ripresa dal gruppo Andrea Rossi- Sergio Focardi (Industria privata ed Univ. di Bologna, 2008). Veniva usato idrogeno “nascente” prodotto da una piccola cella elettrolitica (attualmente H
c) 2 gas pressurizzato). I risultati - e le procedure - sono mantenuti nel riserbo (brevetti). Secondo gli Autori, inizialmente sono riusciti ad ottenere un guadagno energetico a temperature (stimate) di 300°C, di circa 8 con un reattore “standardizzato” da 1-3 kW termici. Fino ad arrivare all’attuale reattore da oltre 10 kW termici che “amplificherebbe” fino ad un fattore 100, ma poco stabili (sicurezza???)
d) Dal 2005 Y. Arata ha sviluppato anche un nuovo tipo di nanoparticelle dalla composizione atomica Ni30-Pd5-(ZrO2)65 Attualmente (2009^), tale materiale è quello che sta fornendo i migliori risultati dal punto di vista dell’eccesso termico, anche se limitato a tempi di 48h. Un gruppo americano (da Sett. 2010) ha replicato con successo il materiale sviluppato da Arata. Misure effettuate con apparato e personale della Toyota (Nagoya-Giappone). Attualmente un nuovo materiale utilizzato da Ahern (ZrO2, Ni, Cu, Pd,) è addirittura migliore di quello di Arata (8W a 580°C, oltre 2 settimane).
e) Il deposito da Noi sviluppato per realizzare il multilayer prevede strati alternati di Pd e sali multipli (B, Ba, Sr, Th, etc). La stessa procedura è applicata sia per i fili in Pd che per quelli in Ni. I (migliori) risultati ottenuti con il Ni sono nettamente superiori a quelli ottenuti con il Pd rispetto alla densità di potenza in eccesso e temperatura (Ni: 1800 W/g, 850-900°C; Pd: 400 W/g, 500- 550°C) ma sono di ardua replica (almeno finora). Flow Calorimetrie Measurements of Interaction of H2, D2, He with Nano-coated Wires of Ni and Pd-Alloy at Temperatures up to 850°C
Collaboratori:
• G. Mariotti, F. Tarallo, A. Bianchi, E. Paganini. Enel Engineering and Innovation SpA,
Via Andrea Pisano 120, 56122, Pisa -Italy.
• U. Mastromatteo. STMicroelectronics, Via Tolomeo 1, 20010 Cornaredo *Mi)-Italy.
• D. Garbelli. Pirelli Labs, Viale Sarca 222, 20126 Milano-Italy.
• L. Gamberale. MOSE SrL, Viale Montegrappa 20, 27029 Vigevano *PV)-Italy
• A. Takahashi, Technova Inc. Tokyo-Japan
• A. Kitamura. Dept. of Engineering, Kobe University-Japan ICCF16, Chennai (India), February 5-12, 2011

Conclusioni
a) La linea di ricerca convenzionalmente nota come “Fusione Fredda” è iniziata dal 1958 in Giappone, anche se a livello di lavoro a tempo parziale. Nel 1989, grazie a M. Fleischmann - S. Pons e S. Jones, vi è stato un rapidissimo interesse a livello Internazionale ed una sua rapida caduta dopo che sono emersi gli enormi problemi di riproducibilità.
b) Un ridotto numero di Ricercatori, poiché erano riusciti ad ottenere - in maniera più o meno fortunosa - risultati “anomali”, ha continuato le ricerche. Il maggiore sforzo economico (e d’immagine) è stato affrontato da Industrie e Governo Giapponesi. Sono particolarmente attive organizzazioni della difesa in USA (NRL) oltre che Laboratori di origine militare (ad es. LANL: Los Alamos National Laboratory).
c) Attualmente, risulta che una delle strade più promettenti sia quella basata sulle nanoparticelle o nanostrutture che dir si voglia. In tale filone, sono ovviamente protagonisti i Giapponesi (anche per motivi storici) e gli Italiani. Da circa 18 mesi, grazie all’intervento strumentale dei Laboratori (militari) AMES, sembra che gli USA stiano riprendendo il controllo di tale linea di ricerca.
d) Purtroppo l’utilizzo dell’Idrogeno, ed in misura ancor maggiore del Deuterio, in specifici reticoli cristalli di materiali ad alto peso atomico, è già stato applicato per la fabbricazione d’ordigni bellici “nucleari” (E. Teller, 1953). Tale caratteristica intrinseca, unita alla capacità del Pd, ed ancor più delle nanoparticelle in genere, ad assorbire elevatissime quantità dei suddetti gas, potrebbe aver indotto alcuni ben definiti circoli d’interesse ad ostacolare/controllare, per quanto possibile, tali studi quando effettuati da “Ricercatori Qualunque”. Il loro timore è che, casualmente, tali Ricercatori si possano imbattere in “qualcosa” che ben conoscono da tempo e che, secondo alcuni autori (MT, EdG), hanno già utilizzato.
e) E’ notizia recentissima che un noto gruppo di lavoro operante presso i LANL sia riuscito ad aumentare, di svariati ordini di grandezza, la produzione di Trizio quando le precedenti strutture a multistrato di SiO2-Pd (che venivano fatte assorbire di Deuterio e sottosti a campi elettrici variabili di alcune migliaia di Volts) vengono sostituite da lunghi e sottili fili di Ni aventi la superficie nanostrutturata.